Una mostra parte di un progetto più ampio, costruito sull’intensa collaborazione, intellettuale e progettuale, tra l’artista e il curatore che è teorico e ideatore del movimento “Pittura Plastica”
La mostra “Purezza Meccanica. Pittura Plastica” è il proseguo della precedente “Pittura Plastica” curata nel 2023 da Alberto Barranco di Valdivieso alla Galleria Monopoli sempre dedicata alla ricerca di Nicoletta Borroni.
“Pittura Plastica” manifesta la sincronica coincidenza tra superficie dipinta e forma tridimensionale; dunque una pittura “strutturale” ovvero non sottomessa al semplice ruolo di segnale decorativo della forma bensì luogo di coesione simmetrica tra sagoma e colore. Parliamo di pittura intesa come stesura manuale del pigmento, non il prodotto estetico di resine essiccate in casseforme o di stampa digitale; pittura dunque che manifesta l’evidenza di un’azione fisica gestuale umana diretta del pigmento sul supporto e forma plastica intesa come composizione di elementi diversi dal pigmento in collegio simmetrico con la forma cromatica.
“Purezza Meccanica” è un viaggio nella limpidezza dell’Assoluto, del mistero insondabile dell’universo eppure percepibile come dimensione interna di ognuno di noi.
La mostra presenta le forme isometriche di Nicoletta Borroni, chiamate Mecha, caratterizzate da una superficie piana, composte solitamente da due elementi coesi e complanari legati secondo una simmetria assiale e conversa, con uno spessore aggettante di circa 5 cm sviluppato in modo ortogonale.
Le parti, di cui notiamo la linea d’assemblaggio, presentano tonalità diverse di uno stesso colore (raramente il rosso, più spesso colori freddi) che, miscelato con altri in sotto traccia, crea riflessi sottili che si svelano al cambiare della luce; le forme realizzate in legno sono dipinte con aeropittura, con una tecnica particolare di sovrapposizione delle stesure di colore (anche più di 20 strati, vaporizzati a diversi grani di goccia) che rende otticamente un senso di ambigua sospensione tra morbida porosità e durezza lapidea.
In questo modo Borroni realizza il fine di una forma, “assoluta” che tenda alla perfezione ovvero allo stato di purezza meccanica sia esterna che interna.
Ecco allora la creazione delle mecha ovvero macchine (ed una architettura altro non è che una macchina) nelle quali gli elementi (sagoma esterna, volume, colore, parti assemblate e relative fughe) sono gli “ingranaggi” di un autentico “sistema omogeneo” che agisce “in purezza meccanica” secondo i principi di geometria immediatamente percepibile come coerente, dunque in equilibrio dinamico tra tutte le sue parti e per questo così efficace nel suo comunicare il senso di “qualcosa di assoluto” a chiunque la osservi.
Il perfetto bilanciamento strutturale tra volume e colore all’interno del progetto costruttivo dell’opera, tema fondante di “Pittura Plastica”, trova una nuova declinazione nella direzione di progetto con vocazione al mistero dell’infinito e di tutto ciò che vada oltre l’oggetto stesso.
Le Mecha sono presenze immanenti, apparizioni indifferenti alle dinamiche dello spazio che le circonda, sentinelle di un assoluto che esiste nel relativo. Queste “presenze” si stagliano nell’ambiente che le ospita imponendosi in modo netto e categorico, perturbando lo spazio e il tempo della visione e stimolando reazioni profonde in chi le osserva.
Le Mecha funzionano come macchine pure, organismi artificiali di apparente semplicità compositiva ma in realtà di straordinaria complessità geometrica, questo grazie alle micro calibrazioni delle proporzioni tra linee di sagoma e spazi dei piani.
Nel caso di Borroni pittura e forma sono entrambi momenti imprescindibili all’unicum dell’opera agendo in concorso di perfetta convalida reciproca tale che quella forma e quel colore non possano sussistere che in quell’opera, e solo in quella.